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Le persone con disabilità hanno diritto ad un “Progetto di vita individuale personalizzato e partecipato".
Il percorso per arrivare al “Progetto di vita individuale personalizzato e partecipato" è iniziato negli anni 70 del XX secolo. In forma simile e con nome differenti è comparso in varie leggi durante gli anni. Il nome è molto lungo, difficile da ricordare e i nomi utilizzati nelle leggi precedenti sono simili quindi è facile confondersi. Per capirsi nel testo ho quindi pensato di chiamarlo SuperP perché è facile da ricordare e fa capire che è l'ultima evoluzione. Nei prossimi anni ce ne saranno altre quindi bisognerà trovare un altro nome…
SuperP, e i suoi predecessori, sono molto schivi - amano stare nascosti. Molte persone con disabilità anche adulte, non conoscono SuperP (o le sue varianti precedenti). Il perché lo capirete man mano che vi spiego cos'è.
Bisogna tornare indietro. 1968, gli anni dei movimenti studenteschi e degli operai, ve li ricordate? Io no perché non c'ero, ma è uno di quei periodi che se avessi una macchina del tempo visiterei volentieri, in larga parte per la musica di quel periodo.
Il movimento studentesco, inizialmente snobbato dalla maggioranza degli intellettuali, solidarizza con la classe operaia sfruttata e spinge per sovvertire la stagnante cultura politica imperante.
In questa situazione, venne a crearsi il movimento di contestazione giovanile (inizialmente contestazione studentesca) che chiedeva una riforma della scuola. Al cambiamento contribuirono alcune forze politiche principalmente di sinistra (CGIL-Scuola, Movimento di Cooperazione Educativa, Partito Radicale) ma anche una “spin-off" della Chiesa Cattolica ufficiale ispirata dalla scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani [1].
Associazioni storiche già attive come l'UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, fondata nel 1920), l'MCE (Movimento di cooperazione educativa, fondato nel 1951), l'AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici, fondata nel 1954), l'ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale, fondata nel 1958) o che nacquero in quegli anni come l'AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla, fondata nel 1968), la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, fondata nel 1961) e molte altre, contribuirono in modo marcato al riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità. Se volete approfondire la storia dell'associazionismo della disabilità qui trovate tutto: Le associazioni della disabilità: tra stato e società civile.
Tra metà anni Cinquanta e fine Sessanta alcune associazioni promossero delle manifestazione note come marce del dolore (1954, 1961, 1964, 1968). Le marce del dolore, oggi poco note, hanno avuto all'epoca un grande impatto simbolico con importanti ricadute politico-sociali. La marcia del dolore del 1961 sostiene le cause degli invalidi civili mentre quella del gennaio 1968 arriva a subire alcune cariche da parte della polizia e porta ad uno sciopero della fame di dieci giorni davanti al Parlamento [2].
In quel periodo c'erano le scuole speciali e le classi differenziali che dovevano essere obbligatoriamente frequentate da persone con disabilità (legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 articolo 12). In realtà, vi era un forte sostegno nei confronti delle scuole speciali/classi differenziali (fino alla fine degli anni 70) anche da parte di associazioni e forze politiche progressiste (PCI e radicali inclusi). La ragione di questo era che la separazione (in scuole speciali/classi differenziali) doveva rappresentare un momento di natura transitoria, giusto il tempo necessario affinché il bambino acquisisse capacità e competenze tali da permettergli di reinserirsi nelle classi comuni o nel mondo del lavoro [3].
Si vedano ad esempio le proposte di legge “Tutela della salute mentale ed assistenza psichiatrica" (Marcella Balconi e altri, PCI), presentata alla Camera dei Deputati il 13 marzo del 1965; o ancora la proposta di legge d'iniziativa popolare “Interventi per gli handicappati psichici, fisici, sensoriali e i disadattati sociali", elaborata alla fine degli anni Sessanta dall'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore.
Nella pratica tuttavia ricerche effettuate in quegli stessi anni avevano rilevato che nella maggior parte dei casi le “classi differenziali" erano sostanzialmente un fallimento. Si erano sviluppate numerose e con sempre più iscritti nelle periferie delle grandi città industriali del nord. Tuttavia al loro interno accoglievano quasi soltanto bambini appartenenti a famiglie di bassa estrazione socio-economica [3].
Nel clima di rivendicazione dei diritti della persona, di autodeterminazione e di lotta alle istituzioni in senso generale promosso dal movimento di contestazione giovanile, supportati dalle associazioni e dagli insegnanti, in varie città d'Italia sempre più genitori iscrivevano i loro figli alle scuole comuni andando contro la normativa vigente [3, 4] e Capitolo III. L'istituzione superata: verso la riforma (1971-1978)]. Il dissenso verso queste forme di istituzioni “speciali" segreganti cresceva sempre più intensamente. Le critiche partivano da insegnanti, genitori, intellettuali, psicologi e si rivolgevano alla politica che in quel momento era del tutto impreparata.
Lo strumento delle scuole speciali che era stato percepito fino a quel momento come moderno e avanzato, in pochi anni diventa un modello obsoleto e ferocemente criticato.
Le forze politiche, dopo un momento di frastornamento in cui si trovavano a rinnegare un modello sostenuto fino a poco tempo prima (un anno prima si facevano proposte di legge per la creazione di istituti, scuole speciali ecc. Vedi box-1) ed, al tempo stesso, ad abbracciare la protesta nascente contro le scuole speciali e i percorsi scolastici segreganti, iniziarono a prendere dei provvedimenti.
Venne quindi emesso il decreto legge 30 gennaio 1971, n.5 convertito poi nella prima legge quadro sulla disabilità, la legge 30 marzo 1971, n. 118 al cui articolo 28 si permetteva agli alunni con disabilità non “grave" di frequentare le scuole comuni. Rimanevano esclusi i ciechi, i sordi e i disabili “gravi".
La legge 118/1971 risentiva ancora delle conseguenze della seconda guerra mondiale. Il titolo infatti è “Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili". L'idea era facilitare la vita di relazione dei mutilati e degli invalidi civili per l'accesso agli edifici pubblici e istituzioni scolastiche costruite in conformità alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 15 giugno 1968 riguardante l'eliminazione delle barriere architettoniche. Ahahah, penserete voi, è dagli anni 70 che c'è una legge sulle barriere architettoniche degli edifici pubblici!?! Sì, entrando in un edificio pubblico non sembra, ma è così. Su questo punto non c'è tempo di soffermarsi, anche se l'eliminazione delle barriere architettoniche rientra nel SuperP.
La crisi delle classi differenziali è parte integrante di una crisi più generale che in quel periodo investì altre strutture istituzionali attive in campo assistenziale: manicomi, scuole speciali per minorati psicofisici o sensoriali, istituti di istruzione per ciechi e per sordi. Tutte progressivamente smantellate, durante gli anni Settanta [3].
Qui è quando il sasso comincia a rotolare…
Nell'ottobre del 1972 venne presentata una proposta di legge, la n. 1060, Adriana Fabbri Seroni ed altri (PCI) [5], che chiedeva di garantire «ai minorati psichici, fisici e sensoriali la partecipazione ai corsi ordinari e la loro piena integrazione nella vita scolastica normale, così da consentire l'abolizione delle classi differenziali ed il superamento di ogni forma di organizzazione separata e segregante». Quella proposta, mai approvata in sede parlamentare, segnò comunque una svolta decisiva nella politica assistenziale del PCI [3].
Tre anni dopo venne pubblicato il Documento Falcucci ad opera della Commissione ministeriale presieduta dalla senatrice democristiana Franca Falcucci. Questo importante documento promuoveva un nuovo modo di concepire ed attuare la scuola e rappresentava il più avanzato elaborato (a livello europeo ed internazionale) riguardante la questione della disabilità nella scuola dell'obbligo. Al punto 1 dell'Allegato si legge “Premesso che, in conformità agli obiettivi educativi sin qui indicati, si deve tendere al superamento di strutture scolastiche specializzate, si conviene tuttavia che ciò potrà realizzarsi solo attraverso un processo graduale, sviluppato con realismo e serietà." I prodromi di “SuperP" si possono trovare in questo documento, infatti si sviluppa una riflessione sull'Integrazione scolastica che va oltre la sola accoglienza fisica delle persone con disabilità nelle “scuole comuni" ma affronta l'aspetto della qualità del loro percorso scolastico.
I principi ispiratori della legge 517/1977 e della stessa legge 104/1992 sono contenuti nel “Documento Falcucci".
Nel 1976 fu approvata la legge 360/1976 che riconosceva agli alunni ciechi il diritto di iscriversi alle scuole comuni.
Finalmente, il 4 agosto del 1977, la legge 517/1977 stabiliva, l'abolizione definitiva delle classi differenziali nelle scuole dell'obbligo, cioè elementari e medie.
Qui siamo alla preistoria di SuperP, mancano ancora 20 anni circa prima che compaia il progetto di vita in una sua prima forma dichiarata.
Tra la fine degli anni settanta, inizio anni ottanta una spintarella a favore dei diritti delle persone con disabilità venne data dall'ONU. Nel 1976 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 1981 “Anno internazionale delle persone disabili" con lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica sul perseguire gli obiettivi di benessere, inclusione e difesa dei diritti dei cittadini disabili [6]. Nel 1980 venne presentata un'interpellanza parlamentare (n. 2/00149 del 14/05/1980) dove in sintesi si diceva: visto che l'anno prossimo è l'anno internazionale delle persone disabili, il governo pensa di far qualcosa? Negli anni seguenti non viene fatto nulla di significativo a livello legislativo in materia, tuttavia, nelle appendici sociali progressiste si cominciava a parlare di disabilità in un'ottica diversa rispetto a quanto si era fatto fino a quel momento. Stava iniziando a prendere piede il modello sociale della disabilità che andava a fondersi con il modello medico presente. Già nel 1975, l'organizzazione inglese Union of the Physically Impaired Against Segregation (UPIAS) affermava:
In our view it is society which disables physically impaired people. Disability is something imposed on top of our impairments by the way we are unnecessarily isolated and excluded from full participation in society.che tradotto significa: Dal nostro punto di vista è la società che disabilita le persone fisicamente menomate. La disabilità è qualcosa di imposto sulle nostre menomazioni dall'isolamento e dell'esclusione dalla partecipazione piena alla società. Questo concetto sarà noto come l'interpretazione sociale della disabilità. Nel 1983 l'accademico Mike Oliver conia la frase modello sociale della disabilità [7].
Fino a questo momento gran parte della normativa in materia di “invalidità" era ispirata ad una filosofia di tipo assistenziale e basata sul sostegno economico, propria di uno Stato incapace di rispondere in modo adeguato ai bisogni dei destinatari e con un sistema di servizi poco sviluppato che cercava di supplire a tali carenze attraverso prestazioni economiche dirette (pensioni, assegni alla persona) - spesso insufficienti o tramite enti terzi (finanziamenti ad associazioni). - questo approccio di tipo assistenzialista è ancora oggi in voga in alcuni ambiti politici o in talune realtà del terzo settore [2, 8 ].
Il ragionamento su cui si basava questo sistema era puramente individualista:
l'Individuo ha una menomazione (fisica-psichica-sensoriale). Il sistema di istruzione ed il mondo del lavoro richiedono determinati requisiti. A causa della menomazione la capacità lavorativa e di produzione del reddito dell'individuo sarà ridotta. Quindi lo stato fornisce sostegno economico per compensare.
Con gli anni 80, a seguito della diffusione del modello sociale, inizia quindi a parlarsi di più della “persona e della vita di relazione" e nascono i concetti di non autosufficienza, di handicap e di disabilità lavorativa. Questo avviene in parallelo all'introduzione del sistema ICIDH - International Classification of Impairment, Disabilities and Handicaps (Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità e Handicap) per la classificazione delle condizioni di disabilità introdotto dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). L'ICIDH individua tre componenti volte a definire la disabilità: la menomazione come danno biologico che una persona subisce; la disabilità come incapacità a svolgere gli atti della vita quotidiana; l'handicap per indicare lo svantaggio sociale che deriva dall'avere una disabilità.
Le ricadute del modello sociale della disabilità e dell'ICIDH sono di straordinaria importanza in ambito giuridico e sociale in generale. I punti fondamentali sono due:
Questi concetti rappresentano i principi fondatori della legge quadro più nota in materia di disabilità, signore e signori, la 104/1992!
La legge n. 104 del 5 febbraio 1992 è nata sotto la spinta della crescente necessità di superare la frammentarietà legislativa esistente. E' una normativa complessa che si collega a diverse leggi, decreti e sentenze della Cassazione dei 20 anni precedenti, oltre ad altre norme emanate negli anni successivi. La legge è nata anche per la necessità di superare lacune normative e per rinnovare alcune norme sulla base di nuovi principi meno individualisti. Ad esempio nell'art.43 si abroga l'art.28 comma 2 della legge 118/1971 relativamente alla esclusione dall'integrazione scolastica degli alunni disabili in situazioni di gravità e il comma 3 dello stesso articolo dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza 215/1987 della Corte Costituzionale [9].
Per capire l'intenzione del legislatore riporto le finalità della legge 104 del 1992 espresse all'art. 1:
In questa legge troviamo finalmente un primo pezzetto di “SuperP", all'art. 12 della 104/1992 infatti viene definito il P.E.I.: Piano Educativo Individualizzato. Riporto il comma 5 e 6 dell'art. 12 versione orginal (è stato modificato dal DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 66)
Il P.E.I. rappresenta un pezzetto del “SuperP", un pezzetto fondamentale e moooolto spesso sottovalutato dalle famiglie e da alcuni insegnanti perché considerato come uno strumento puramente burocratico ma che in realtà rappresenta un istituto molto potente se ben applicato.
In merito all'inclusione scolastica i punti cardine della legge n. 104/1992 sono il Piano educativo individualizzato e l'insegnante di sostegno specializzato. Questi istituti, dice la Corte Costituzionale, non possono trovare limitazioni di ordine finanziario in quanto il diritto all'educazione e all'istruzione e alle strumentali attività di sostegno costituiscono diritti primari garantiti dalla Costituzione (Corte Costituzionale sent. n. 80 del 2010; Corte costituzionale sent. 83 del 2019).
La legge n. 104/1992 da luogo ad un po' di fermento tra i policy makers. Si nota a livello normativo ad esempio un incremento dei progetti di legge presentati dagli anni 90. Se nei 20 anni precedenti, tra il 1972 e il 1991 sono stati presentati circa 20 progetti di legge in materia di disabilità [Ricerca su https://storia.camera.it del termine handicappati negli anni 1972 - 1991.] - una media di 1 all'anno, nei 10 anni successivi (dal 1992 al 1999 ) ne sono stati presentati 40 [Ricerca su https://storia.camera.it del termine handicappati negli anni 1992 - 1999.], una media di 4 all'anno.
La legge n. 104/1992 fa sicuramente qualche passo in avanti, dando più peso agli interventi di integrazione sociale. L'attenzione è spostata verso la persona nella sua globalità e tiene conto delle relazioni sociali tra la persona e il resto della società/ambiente.
Si nota un tentativo di spingere alla realizzazione di progetti integrati che coinvolgono le regioni, gli enti locali (con servizi pubblici e privati), la società civile e le stesse persone disabili. Questo contesto partecipativo porterà alla concretizzazione della legge 162/1998.
La legge 162/98. Modifiche alla legge 5 febbraio 1992 n 104 concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave; è una legge rivolta a persone con disabilità grave e integra la legge 104/1992.
La legge 162/1998. introduce la possibilità di definire servizi personalizzati, dunque “cuciti" su misura della persona con disabilità, attraverso il piano personalizzato finalizzato a garantire il diritto ad una vita indipendente, al fine di evitare l'istituzionalizzazione delle persone con disabilità. [10, 11]
In particolare: c) all'articolo 39 legge 104/92, comma 2, dopo la lettera l), sono aggiunte le seguenti (modificazioni):
l-ter) a disciplinare, allo scopo di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilita' permanente e grave limitazione dell'autonomia personale nello svolgimento di una o piu' funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalita' di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia";
Ok. Qui abbiamo il primo nome ufficiale di SuperP: piano personalizzato. A cosa serve questo piano lo dice la modifica l-ter qui sopra. Compare un termine fondamentale, vita indipendente.
E' necessario a questo punto chiarire il significato di questo termine perché è molto sfuggevole e lascia adito a svariate interpretazioni. Diciamo subito cosa non è, “vita indipendente" non è vivere da solo. Non è fare tutto da solo. Non è necessario saper far tutto per vivere in modo indipendente e nemmeno saper fare le cose di base. Le autonomie di base non sono propedeutiche ad una vita indipendente [12] . C'è chi ha una famiglia, vive in modo “indipendente" ma non sa cucinare, cucina qualcun altro della famiglia, o prende cibi pronti. Oppure una persona ha scelto di non prendere la patente, quindi usa i mezzi oppure si fa accompagnare. Non sa stirare i panni o ordinare la casa, o qualsiasi altra incapacità o non volontà di eseguire attività di vita quotidiana non preclude una vita indipendente. E in questi esempi mi riferisco a persone senza disabilità. Nel caso di persone con disabilità è la stessa cosa.
In inglese il termine è di più immediata interpretazione, “living independently", cioè vivere indipendentemente [dalla disabilità].
Qui: ENIL, trovate una descrizione chiarissima del concetto di vita indipendente ed un'analisi dettagliata della legge 162/1998. Vi riporto una parte di questo articolo che vi fa capire come il concetto è travisabile:
Ad esempio una organizzazione di persone con disabilità ha presentato una proposta di legge regionale applicativa della legge 162/98 secondo la quale chi vuole accedere ai fondi per la “Vita Indipendente" deve vivere da solo o con una famiglia diversa da quella di origine. Mi chiedo in cosa consista l'indipendenza di chi non può neppure decidere con chi abitare! Un altro esempio dell'uso improprio del termine Vita Indipendente è contenuto in un progetto di “Centro diurno per portatori di handicap e disabili" che dovrebbe garantire qualche ora di respiro per le famiglie, e che viene appunto per questo definito come progetto per la Vita Indipendente. Domanda retorica: chiudere le persone in una struttura, seguite da “animatori" ed “educatori" vi sembra che abbia a che fare con la loro autodeterminazione e con la loro libertà?" [https://www.enil.it/vita-indipendente/commento-alll-ter-legge-16298/]
Ciò che invece risulta fondamentale per costruire una vita indipendente è un insieme di dispositivi e sostegni personalizzati. Di fatti, nella legge 162/98 c'è una precisazione che mette a fuoco il le modalità di implementazione del concetto di vita indipendente. Cioè, la vita indipendente si implementa come servizi di aiuto alla persona gestiti in forma indiretta.
Cosa significa in pratica. La persona con disabilità si rivolge al comune di residenza (oppure al consorzio dei servizi sociali delegato dal comune) e chiede di poter avviare il suo piano personalizzato. Il piano personalizzato è un progetto costruito sulla persona che include tutti gli ambiti della sua vita: scuola (se in età scolastica), famiglia, svago, lavoro (se in età lavorativa). Sulla base dei desideri della persona vengono introdotti tutti i sostegni necessari affinché la persona possa vivere appieno la sua vita ed evitare l'istituzionalizzazione. I piani esistenti già attivabili nelle singole discipline di settore, come il P.E.I. (Legge n. 104/1992) o il PAI (DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 14 gennaio 1997, Allegato 1. Art. 1) sono coordinati in un unico progetto “olistico".
In realtà, questa cosa del piano personalizzato non è mai avvenuta se non in alcuni casi rarissimi. Di seguito un video di un impiegato comunale alla richiesta di avvio del piano personalizzato:
Il piano personalizzato, un istituto potenzialmente molto utile introdotto da questa legge, non ha trovato praticamente applicazione nella realtà. Vi dicevo all'inizio che SuperP e i suoi predecessori erano molto schivi… rimangono nascosti anche nelle cerchie delle persone con disabilità. La sua natura sfuggevole ha fatto sì che nascessero associazioni esclusivamente orientate a promuovere la realizzazione del piano personalizzato, ad esempio i Comitati 162 (attivi in Piemonte [10], Lombardia, Liguria, Valle d'Aosta e Sardegna)
Negli stessi anni, nel luglio del 1996, partirono i lavori preparatori per una nuova legge quadro molto ambiziosa che aveva l'intenzione di creare un sistema socio-sanitario integrato e di riorganizzare il territorio in ambiti adeguati e permettere una programmazione degli interventi in base alle caratteristiche e ai bisogni delle famiglie: la legge 328/2000
Il testo definitivo della legge richiese 15 disegni di legge e 30 stesure. Per la prima volta, venne istituito un Fondo nazionale per le politiche e gli interventi sociali, aggregando e ampliando i finanziamenti settoriali esistenti e destinandoli alla programmazione regionale e degli enti. [13]. Con questa legge si volle superare la logica assistenzialista degli interventi in tutti gli ambiti, dal lavoro alla scuola. Si volle inoltre passare da un sistema frammentato di stampo riparativo a qualcosa di strutturato ed organizzato che fosse efficace, quindi più lontano delle classiche logiche di aiuti mutualistici e di beneficenza da parte di associazioni caritatevoli.
In questa legge inoltre si trova un'evoluzione del piano personalizzato definito nella legge 162/1998 e rinominato qui progetto individuale. Vi riporto l'art. 14 comma 1 e 2:
Nonostante gli ottimi presupposti della legge non è andato tutto come sperato. Qui https://www.secondowelfare.it/primo-welfare/ventanni-di-328-tra-passato-e-futuro/ e qui https://romatrepress.uniroma3.it/wp-content/uploads/2021/07/vent-bgp.pdf potete leggere delle riflessioni sulle criticità della legge 328/2000.
Focalizzandosi solo sull'aspetto che ci interessa in questo momento del progetto individuale, come successo per il piano personalizzato della legge 162/1998, esso non ha trovato grande riscontro nella realtà. Ci sono pochi casi in cui il progetto individuale ha visto un'applicazione reale piena: essenzialmente solo in progetti sperimentali di collaborazione tra comuni volenterosi e università [12]. Essendo diritto della persona con disabilità richiedere la realizzazione del progetto individuale sono anche state emanate sentenze della corte di Cassazione che obbliga il comune alla redazione del piano e al risarcimento dei danni [Trib. Marsala sent. 366/2019, Trib. Catania sent. 559/2019]. A queste sentenze tuttavia non ha fatto seguito un'implementazione diffusa del progetto individuale.
La mancata attivazione del progetto individuale da parte dei comuni non dipende solo dalla mancanza di risorse economiche (ad esempio sulla base del famigerato criterio della spesa storica). Ma dipende molto dalla mancata integrazione tra i servizi socio sanitari e dalla presenza di operatori non formati sul progetto individuale. Gran parte degli operatori sociali e sanitari restano legati ad un modello medico della disabilità e ad un sistema di erogazione di servizi basato sulla compensazione di un disagio. In quest'ottica, il progetto personalizzato si riduce all'erogazione di pacchetti preconfezionati: n. ore di educativa territoriale, n. ore di logopedia o n. ore al centro diurno. Non costruito sui desideri della persona ma utilizzando un ragionamento del tipo: rilevato che la persona ha questa serie di disagi, la si fa rientrare in queste categorie. A queste categorie di persone possono spettare questi servizi. In sintesi, il progetto non è un progetto. Di individuale ha soltanto l'elenco dei disagi della persona.
La diffusione praticamente nulla del progetto individuale è dovuta anche allo scarso passaggio di informazione tra i servizi sanitari (in primo luogo perché per primi vengono in contatto con le persone con disabilità) e sociali e le persone con disabilità o le loro famiglie.
Nel 2009, con la legge 18/2009 viene ratificata (recepita nella legislazione dello stato) la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e viene istituito l'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.
All'art. 19 della legge 18/2009 si parla di Vita Indipendente e inclusione nella società:
…la persona con disabilità ha il diritto di scegliere dove, con chi e come vivere".
La Convenzione Onu, ci dice che le persone con disabilità, non sono titolari di diritti speciali ma che per tutte le persone, comprese quelle con disabilità, devono valere gli stessi diritti di tutti.
Oltre ad offrire tutela della libertà di autodeterminazione delle persone con disabilità, la disposizione della Convenzione impone agli Stati sottoscrittori l'implementazione di misure di facilitazione della capacità di scelta del singolo [14].
Ciò che la Convenzione ci chiede è di rendere esigibili quei diritti anche da parte delle persone con disabilità, mettendo in campo misure e strumenti di sostegno adeguati.
La Convenzione ONU non parla di livelli di autonomia o di livelli di gravità, essa ribalta il modo di considerare la disabilità, affermando che è un concetto in evoluzione essendo:
[La disabilità è] il risultato dell'interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed efficace partecipazione nella società su base di parità con gli altri.
Rileggete la frase sopra perché ad una prima lettura forse non se ne percepiscono le implicazioni.
Facciamo un esempio. Una persona con disabilità motoria deve entrare dal panettiere ( nulla contro i panettieri, qualsiasi altro negozio va bene ), ci sono dei gradini, la persona non può entrare. Secondo quanto espresso dalla convenzione ONU esiste una barriera ambientale che interagisce in modo negativo con la menomazione di una persona e impedisce alla stessa di partecipare appieno alla società. Questo significa che il diritto alla libera circolazione è violato e la persona può attivarsi per far valere i propri diritti.
La disabilità come definita dalla Convenzione pone fine, almeno formalmente, alla dicotomia tra lavoratori e disabili sancita dal modello di welfare creato nel secondo dopoguerra [].
Un'altro passo importante verso l'evoluzione a SuperP è rappresentato dalla legge 112/2016, chiamata “Dopo di noi". Il titolo della legge è “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare".
L'obiettivo del provvedimento è garantire la massima autonomia e indipendenza delle persone con disabilità, consentendogli per esempio di continuare a vivere - anche quando i genitori non possono più occuparsi di loro - in contesti il più possibile simili alla casa familiare o avviando processi di deistituzionalizzazione.
Viene istituito un Fondo per l'assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, le cui risorse vengono ripartite ogni anno dal Ministero alle Regioni con apposito decreto. Il Decreto interministeriale del 23 novembre 2016, attuativo della legge 112/2016, ha fissato i requisiti per le prestazioni a carico del Fondo e stabilito le risorse da erogare alle Regioni per l'anno 2016. L'articolo 5 definisce cosa può essere finanziato tramite il Fondo.
Come per la legge 162/98 nasce un comitato, il Comitato Officina Dopo di Noi, per monitorare l'attuazione della Legge da parte delle Regioni, favorire il confronto e lo scambio tra istituzioni e tutti coloro che operano in questo ambito. A 5 anni dall'attuazione il comitato ha raccolto i risultati del monitoraggio dell'attuazione della legge in un libro: “L'attuazione della Legge 112/16. Monitoraggio 2019-2020, Comitato Officina Dopo di Noi, 9788891650559, Maggioli Editore". Sintetizzo i risultati: dal 2016 a oggi la Legge non ha avuto il successo sperato, e questo è imputabile a vari fattori: i ritardi regionali, le diverse modalità attuative a livello locale, la difficoltà riscontrata dalle famiglie nell'avvicinarsi agli strumenti giuridici messi a loro disposizione. Ma anche, purtroppo, alla scarsa conoscenza e alla mancanza di competenze adeguate da parte di alcuni degli attori del complicato processo che la Legge vorrebbe portare avanti per favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l'autonomia delle persone con disabilità. Bassissime le percentuali di beneficiari rispetto ai potenziali totali: 7,5% in Lombardia e 5,4% in Lazio. Istituiti 2.058 trust, 18 contratti di affidamento fiduciario e 984 vincoli di destinazione [15]
Con il decreto interministeriale n. 182 del 29 dicembre 2020 vengono chiariti i criteri di composizione e l'azione dei gruppi di lavoro operativi per l'inclusione (GLO) viene uniformata a livello nazionale la modalità di redazione dei Piani Educativi Individualizzati (P.E.I.). All'articolo 5 e 6 del D.I. n. 182/2020 viene definito il raccordo tra P.E.I. e Progetto individuale (definito dall'art. 14 della legge 328/2000), vi riporto il comma 2 e 3 dell'art.6:
Il raccordo P.E.I. - Progetto individuale è di importanza fondamentale perché, il P.E.I. è un istituto già ben noto alle famiglie dei bambini-ragazzi con disabilità in età scolare-prescolare. Introdurre il Progetto individuale nel P.E.I. significa portare a conoscenza le famiglie del progetto stesso del quale fino a quel momento molto probabilmente non ne avevano sentito parlare.
Nel 2021 viene emanata una legge rivoluzionaria in materia di disabilità: la legge delega 227/2021. E' in questa legge che vede la luce il SuperP. Questa è una legge particolare, si chiama legge delega. La legge delega è una legge approvata dal Parlamento, che delega il Governo a esercitare la funzione legislativa (esercitata normalmente dal Parlamento). Il Governo andrà poi a produrre uno o più Decreti legislativi sulla base delle indicazioni della legge delega. La legge delega 227/2021 rappresenta l'attuazione di una delle riforme (riforma 1.1) previste dalla Missione 5 "Inclusione e Coesione" Componente 2 "Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore" del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) [16]. La legge delega 227/2021 riguarda tutte le persone con disabilità ed ha il suo fulcro nel progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, il SuperP!! Diretto a consentire alle persone con disabilità di essere protagoniste della propria vita e di realizzare una effettiva inclusione nella società. Qui vi riporto anche gli atti parlamentari preparatori alla legge 227/2021 [PDF].
Dalle legge delega sono stati emanati tre decreti legislativi:
Questa legge, con i suoi decreti legislativi, apporta modifiche di portata rivoluzionaria in svariati ambiti legati alla disabilità. Per comprendere meglio di cosa si tratta e la portata dei cambiamenti introdotti vi consiglio di seguire questo webinar: Legge delega disabilità 227/21 – webinar dell'associazione FISH onlus dove Daniele Piccione (Consigliere parlamentare del Senato della Repubblica, coordinatore della Commissione ministeriale per la redazione dei decreti legislativi in materia di disabilità) spiega i principi della legge delega.
La legge delega, come detto sopra, modifica ed integra leggi precedenti in ambiti svariati. Mi concentro solo sul fulcro su cui è stata costruita, il SuperP. Chiamatelo pure così tanto il suo vero nome progetto di vita individuale personalizzato e partecipato non se lo ricorda nessuno. L'utilizzo di una progettazione personalizzata è sempre più di moda nei servizi socio-educativi. La ragione è che, quando applicata correttamente, funziona [17].
Per “funziona" si intende che contrasta l'istituzionalizzazione. L'istituzionalizzazione non è solo mettere una persona in un istituto (centro diurno, casa di cura ecc.) ma è la perdita dell'autodeterminazione della persona come conseguenza della limitazione della libertà personale [14].
Infatti la legge delega 227/2021 adotta il termine deistituzionalizzazione come criterio per disciplinare dal punto di vista normativo il SuperP [14]. Una precisazione, il termine deistituzionalizzazione compare nella legge delega 227/2021 ma non compare esplicitamente nei decreti legislativi emanati dalla legge delega 227/2021.
La deistituzionalizzazione comporta un disincentivazione all'inserimento in strutture di contenimento o ad alta intensità e di conseguenza una spinta verso l'autodeterminazione della persona e rappresenta un istituto di contrasto alle forme di subordinazione della persona.
Nonostante la deistituzionalizzazione sia un processo avviato nel corso degli anni settanta a partire anche dal mondo delle associazioni, ad oggi non è un tema ancora ben integrato nel pensiero delle associazioni stesse [Merlo G. e Tarantino C. (a cura di) (2018), La segregazione delle persone con disabilità. I manicomi nascosti in Italia, Maggioli, Rimini].
L'istituzionalizzazione è resa accettabile dall'esistenza di categorie (culturali o burocratiche) pre-definite: gli autistici, i disabili motori, i Down, in generale gli “altri" diversi da noi. “Altri" con caratteristiche tali da rendere giustificabili trattamenti che sarebbero inaccettabili per noi [17]. Per capire se quell'azione o evento è segregante/discriminatorio fatevi questa domanda: se facessi lo stessa cosa a qualcuno simile a me [cioè con caratteristiche fisiche-psichiche che accomunano l'altro a me] sarebbe accettabile? Ed esempio, se vi dicessero dove andare a vivere e con chi, senza farvi scegliere. Se vi dicessero, ok da domani inizia a vivere in questa casa, con queste persone. Sarebbe accettabile per voi? [17], [2], [Merlo G. e Tarantino C. (a cura di) (2018), La segregazione delle persone con disabilità. I manicomi nascosti in Italia, Maggioli, Rimini].
La personalizzazione per poter contrastare l'istituzionalizzazione non deve essere qualcosa di accessorio. Cioè, provo a spiegarvelo con un'analogia. Devo spostarmi da un luogo A ad un luogo B, lontani tra loro. La personalizzazione potrebbe essere intesa erroneamente come la possibilità di scegliere il colore dell'auto con cui spostarsi in base alle proprie preferenze. Questo da per scontato che lo spostamento possa avvenire solo con l'auto, magari basandosi sul fatto che per “quelli come me", quelli della mia “categoria" l'auto è l'unica possibilità. La personalizzazione va invece intesa come l'insieme di dispositivi e sostegni che mi permettono di scegliere come spostarmi. Ad esempio un sistema di servizi pubblici di spostamento al quale posso accedere.
Allo stesso modo, la personalizzazione [del progetto di vita e dei servizi in generale alla persona con disabilità] deve essere considerata come un sistema di dispositivi, strutture, sostegni che permettono alla persona di autodeterminarsi. Ovvero, un progetto personalizzato non considera la persona appartenente ad una categoria sociale proponendo una serie di pacchetti preconfigurati con al limite qualche optional ma al contrario, parte dal presupposto che non esistano pacchetti preconfigurati per determinate categorie di persone e tutto viene costruito sulla base delle propria personalità, del contesto in cui si vive e della rete di persone in cui si è inseriti [17].
Deve essere chiaro che la realizzazione di un SuperP (progetto di vita individuale personalizzato e partecipato) , che funzioni e che sia utile al contrasto della istituzionalizzazione richiede un sistema integrato di accorgimenti la cui realizzazione è certamente complessa (negarlo sarebbe ideologico). La complessità non deve essere tuttavia un limite alla sua realizzazione. La non attuazione del superP sarebbe infatti certamente un atto discriminatorio.
Novità importanti del SuperP, rispetto ai modelli precedenti: La persona con disabilità è titolare del progetto di vita e ne richiede l'attivazione, concorre a determinarne i contenuti, può apportarvi le modifiche, secondo i propri desideri.
Cosa deve includere il SuperP:
In questo momento, novembre 2024, Il SuperP non è attivo, le regioni, o meglio alcune regioni in via sperimentale, a partire dal 1 gennaio 2025 dovranno emanare delle leggi regionali per recepire le normative indicate dai decreti: 13 dicembre 2023, n. 222 (in G.U. 12/01/2024, n.9), 5 febbraio 2024, n. 20 (in G.U. 05/03/2024, n.54) e 3 maggio 2024, n. 62 (in G.U. 14/05/2024, n.111).
I servizi sociali della maggior parte delle regioni ad ora comunque non sarebbero pronti in termini di preparazione del personale per poter costruire un SuperP come definito dalla legge.
Quindi l'importante è prepararsi. Quando ci si rende conto della portata potenziale del SuperP non si può fare altro che muoversi per far sì che venga implementato al meglio dai Comuni/Servizi socio assistenziali.
Per approfondimenti sull'argomento potete consultare le seguenti risorse.
1. Cottini, Lucio. Dopo quarant’anni dalla 517, l’esigenza è sempre la stessa: avere insegnanti inclusivi. 16 (4), 370-382, 2017 Vai alla pagina↩La inviamo circa una volta al mese e di solito contiene novità (giochi, progetti, iniziative) o estratti di articoli dal nostro blog.
I campi contrassegnati con asterisco sono obbligatoriMi interessa Giocabilità in quanto: