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Come parla! Come parla!! Le parole sono importanti!Nanni Moretti nel film Palombella Rossa.
Capita spesso di sentir parlare in riferimento a persone con disabilità, sopratutto se bambini, espressioni tipo: poverino, meno fortunato vari ed eventuali riferimenti negativi a priori.
Per quale ragione si considera una persona con disabilità necessariamente sfortunata o sofferente?
Chiariamo subito questa cosa, ovvero la differenza tra sfortuna e disabilità.
L'associazione mentale che le persone disabili siano necessariamente sfortunate è di natura culturale. La fortuna-sfortuna sono giudizi soggettivi, dipendono dalla proprio modo di vedere le cose, dal momento storico e dalla società. Chi porta gli occhiali da vista significa che ha una visione inferiore alla media, il che comporta una disabilità a tutti gli effetti.
Per fare un esempio: Bill Gates porta gli occhiali, secondo voi è una persona sfortunata?
Essendo un concetto soggettivo ognuno avrà una sua risposta a questa domanda, ma probabilmente molti non lo riterranno una persona sfortunata.
Ci sono una serie di termini ed espressioni che è meglio utilizzare ed altre che sarebbe meglio evitare. Non per questioni di politicamente corretto, ma perché le parole hanno un forte potere: possono perpetuare stereotipi e rinforzare attitudini negative. Nella storia sono molti i casi in cui gruppi di persone sono state marginalizzate, svalutate o uccise a causa di etichette.
Vi sono due modalità in cui ci si può esprimere parlando di persone con disabilità, in inglese si chiamano person-first e Identity-first. Il person-first language è la forma strutturale in cui un sostantivo che fa riferimento a una persona o persone (ad es. Persona, individui, adulti o bambini) precede una frase che fa riferimento a una disabilità (es. Persona con disabilità, persone non vedente, individuo con disabilità intellettiva, adulti con dislessia e bambini con autismo). Il person-first language è stato creato per livellare, come "equalizzatore", per essere applicato a tutti. Per correggere il passato, in cui le persone con disabilità erano etichettate in modo diverso dalle persone senza disabilità, il person-first language prescrive che ciascuno - non solo persone con disabilità ma anche persone senza disabilità - dovrebbero essere identificate tramite il person-first language. Il linguaggio person-first è quello raccomandato dall'organizzazione mondiale della sanità e da altre importanti associazioni per la difesa dei diritti dei disabili e contrasta con il linguaggio identity-first. Nell'identity-first language, la disabilità, che funge da aggettivo, precede il nome-persona. Questa distinzione è vera solo in inglese, in italiano l'aggettivo viene comunque dopo il soggetto, ma può essere sostantivato quindi i termini disabile, cieco, dislessico o autistico, oppure persona autistica, persona disabile, etc. sono entrambi identity-first language in italiano.[1, 2].
Nonostante la forma person-first sia quella raccomandata, recentemente diversi studiosi e persone disabili si sono chiesti se lo sforzo di cambiare il linguaggio nella modalità person-first avesse come effetto un cambio di attitudini, una riduzione dello stigma o un miglioramento della qualità della vita delle persone disabili. Sembrerebbe che non vi sia evidenza di questo [2, 3, 4, 5]. Riporto (tradotte) le motivazioni di Jim Sinclair, una persona autistica cofondatore della "Autism Network International"[5].
"Non sono una persona con autismo. Sono una persona autistica. Perché questa distinzione è importante per me?"
- Dire "persona con autismo" suggerisce che l'autismo possa essere separato dalla persona. Ma non è così.
- Dire "persona con autismo" suggerisce che anche se l'autismo è parte di una persona, non è una componente molto importante. Caratteristiche importanti di una persona sono identificate come aggettivi e possono essere usati come nomi per descrivere le persone: Parliamo di "maschi" e "femmine" non di "persone con femminilità" o "persone con mascolinità".
- Dire "persona con autismo" suggerisce che l'autismo sia qualcosa di così brutto che non si può nemmeno conciliare con l'essere una persona. Si parla di persone atletiche o atleti, non persone con aleticità. E' solo quando qualcuno ha deciso che le caratteristica alla quale si fa riferimento è negativa che improvvisamente la si vuole separare dalla persona. So che l'autismo non è una cosa terribile e non mi rende una persona inferiore.
Jim Sinclair. Why I dislike “Person First” language
Quindi quale espressione è meglio utilizzare? Proviamo a complicare le cose. Definiamo un essere umano con un set di N caratteristiche. Tutte quelle che volete, fisiche, mentali, relazionali, ecc. Es. persona = altezza, peso, forma del naso, orecchie, occhi, ..., carattere, luogo in cui vive, relazioni... Una serie infinita di caratteristiche che la definiscono in modo univoco. Ognuno ha la sua serie infinita.
Se compariamo diverse persone tra loro si vedrà che alcune hanno caratteristiche simili e quindi possiamo raggrupparle in gruppi, per comodità. Es. tutte le persone che vivono in Russia, li chiamiamo Russi. Quindi "Persone che vivono in Russia ≡ Persone Russe ≡ Russi" hanno lo stesso significato, cioè il concetto mentale a cui ci si riferisce è lo stesso.
L'aggettivo utilizzato per descrivere una o più qualità di un gruppo di persone non è mai neutro, al contrario, viene percepito in modo positivo, negativo o dispregiativo in relazione al momento storico e alla cultura. Se leggete le pubblicazioni di Maria Montessori (fine 800 inizio 900) troverete utilizzato il termine idioti in riferimento a disabili intellettivi. All'epoca non era usato in accezione dispregiativa, anzi, era un termine scientifico. Successivamente avendo assunto il termine una connotazione negativa non è stato più utilizzato, se non in modo esplicitamente offensivo.
Quindi se un aggettivo non ha connotazioni negative associate, perché non deve essere utilizzato per descrivere un gruppo di persone? Si dice ciechi o persone cieche o persone ipovedenti, non persone con ridotta capacità visiva. E dire persone ipovedenti non è associato a alcuna accezione dispregiativa. Quindi se si usa in questo caso, perché non usarlo sempre, anche verso altre disabilità?
Un recente studio scientifico pubblicato su J Child Psychol Psychiatry [2] sembra dimostrare che l'utilizzo del person-first language porti addirittura ad accentuare la stigmatizzazione.
Come descritto sopra, il linguaggio person-first è stato creato per mettere tutti sullo stesso piano, quindi dovrebbe essere applicato sia a persone con che a persone senza disabilità. Ad esempio, si dovrebbe parlare di bambini con disabilità, bambini senza disabilità o bambini con sviluppo tipico ed evitare espressioni tipo "bambini disabili" o "bambini neuro-tipici".
Tuttavia, sembrerebbe che non sia usato così, nello studio sono stati analizzati 5 milioni di libri e più di 150 milioni di articoli per verificare l'utilizzo delle espressioni person-first o identity-first ottenendo le seguenti conclusioni:
Vista l'inefficacia del person-first language si potrebbe utilizzare il linguaggio identity-first, sia per le persone disabili che non. Anche perché l'uso dell'identity-first parte proprio dalla difesa dei diritti delle persone disabili: è empiricamente dimostrato che identificarsi in un gruppo (ad esempio una disabilità) è associato ad un miglioramento del benessere, dell'autostima e della qualità della vita per le persone con una vasta gamma di disabilità [2]. Per questo motivo molte persone disabili che combattono per i propri diritti preferiscono l'utilizzo del linguaggio identity-first.
Personalmente sono in accordo con le motivazioni a supporto dell'utilizzo dell'identity-first ma penso che ciò che è davvero importante sia la comprensione delle parole utilizzate: il motivo per cui si usano. Chi usa il person-first, non lo deve fare solo perché è politicamente corretto ma perché è conscio del suo significato e vuole mettere la persona in primo piano; quindi utilizzarlo sia per gli attributi negativi che per quelli positivi, in riferimento a persone con e senza disabilità.
E' chiaro che la terminologia in questo settore è in evoluzione. Gli stereotipi sono difficili da sradicare e questo si scontra con nuove conoscenze e una maggiore sensibilità. Il risultato netto è che su molti termini non esiste un opinione univoca se debbano essere utilizzati o meno. Vi sono però alcune espressioni sui quali vi è un accordo e sono certamente da evitare [6, 7, 8]. Ad esempio:
Speciali. Questo è un termine usato in varie forme come ad esempio bisogni speciali o bambini speciali. E' molto usato, talmente utilizzato che non si fa nemmeno più caso al suo significato. Ciò che promuove è pietismo, attitudini negative e segregazione [6, 8].
Confinato/costretto ad una sedia a rotelle. La sedia a rotelle abilita, permette di muoversi, dà indipendenza. Non confina [8].
Ritardato/handicappato. Sono termini utilizzati in passato oggi diventati offensivi [6,7].
Sfortunato, meno fortunato. Come scritto all'inizio la fortuna-sfortuna sono attributi soggettivi. L'utilizzo in riferimento a persone disabili non fa altro che, anche in questo caso, evocare pietismo e senso di inferiorità [8].
Per approfondimenti sull'argomento potete consultare le seguenti risorse:
La inviamo circa una volta al mese e di solito contiene novità (giochi, progetti, iniziative) o estratti di articoli dal nostro blog.
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